sabato 30 novembre 2013

Oggi parliamo di... TURCHI




Non mi sarei mai imbattuto nei Turchi se non fossi stato uno di quei tipacci che leggono il Busca in maniera più che assidua. Ma trattandosi di un dato di fatto - rifornisco costantemente le mie energie musicali nutrendomi di recensioni di una delle poche riviste (forse attualmente l’unica in Italia) che considero di un certo livello - nel numero di Giugno 2013 un'articolo niente poco di meno che del mitico Paolo Carù mi incuriosisce a tal punto da spingermi ad acquistare tutti e 3 i digital downloads, ad oggi esistenti, di questa Band proveniente dalle contee di Panola, Tate e Marshall, profondo Sud, Mississippi. L’accostamento fatto ai Turchi dal Busca è al sound di grandi esponenti del blues del delta, andati ed attuali, quali Fred McDowell, R.L. Burnside, Junior Kimbrough e Kenny Brown, nonché ai North Mississippi Allstars di Luther Dickinsonn ed ai Drive-By Truckers. Una formazione che nasce alla fine del 2011 e che, come in una fulminea pellicola, produce un album live di ottima fattura, nonché un album in studio full-length più un EP praticamente in meno di due anni.

Ma andiamo con ordine.

Formazione che ruota attorno alla figura del suo leader Reed Turchi (composizione dei pezzi, voce e chitarra solista) - padrone della tecnica slide e delle scale blues al punto da rendere tali elementi la costante del sound della Band - che unisce le forze con l’ottimo batterista Cameron Weeks, dal tocco “Bohnamiano” e presente, in grado di conferire senza troppi fronzoli un groove bello “dritto” ed efficace alle canzoni infilate all’interno di questi tre dischi. Attorno a loro si alternano una serie di altri musicisti; in particolare si avvicendano al basso, in un via-vai piuttosto veloce, vari musicisti della scena locale prima di arrivare all’assestamento attuale con Andrew Hamlet. Il power trio così composto si avvale poi della collaborazione di John Troutman a sostegno di Reed Turchi alla seconda chitarra e pedal steel, e di Brian Martin all’armonica.

E veniamo ad alcune considerazioni sul sound.


L’ascolto dei tre album è senz’altro piacevole. Delta blues e southern rock sono le etichette che senza dubbio mi sento di attribuire alle loro sonorità. La voce di Reed Turchi è molto aspra e “cattiva”, mi fa venire in mente quella di Dan Auerbach dei Black Keys, o meglio ancora quella di Fredrick "Joe" Evans IV dei Left Lane Cruiser, forse un po’ meno strozzata dal whiskey di quella del secondo. Ma i Turchi sono tecnicamente più dotati di Band come i Left Lane Cruiser, i Black Moses o i Bassholes (non a caso sto facendo un accostamento ad esponenti del c.d. “punk blues”), che prendono a prestito le sonorità del delta per tradurre in chiave vintage le loro radici essenzialmente punk. Non è un violentare le chitarre ed alzare il livello dei decibel fino a rasentare atmosfere da live dei Sex Pistols, i Turchi sono più puliti e suonano bene, prendono il blues e lo declinano nel migliore dei modi, in chiave “moderna” se vogliamo, preservandone però la durezza e l’efficacia. Lo suonano in modo “serio”, se vogliamo. Effettivamente il paragone ai North Mississippi Allstars calza molto bene, ed in un ideale spettrometro che pone agli estremi le influenze dei Turchi, metterei i Black Keys a sinistra ed i NMA a destra, con una forte tendenza verso il polo di destra.

 La prima produzione dei Turchi è “Road ends in water” (2012), album registrato in studio con la collaborazione di Luther Dickinson alle chitarre. Come scrivevo, pezzi molto “dritti” ed essenziali con una sezione ritmica efficace ed affiatata. Colpiscono, fra gli altri, Dr. Recommended (Satisfaction Guaranteed), pezzo “piantato a terra” e “strisciante”, e Junior’s Boogie, da “piangi sulla tua birra” che mi riporta alle atmosfere dei Little Feat di Lowell George. In generale, voti ottimi per tutte le canzoni, purchè la predisposizione all’ascolto di questo album non sia quella di attendersi qualcosa di originale e di nuovo. I Turchi suonano il blues e lo sanno fare bene, rivisitano con grande tecnica capitoli già scritti, ci mettono qualcosa del loro, ma non inventano l’acqua calda; capacità che peraltro, di solito, non è prerogativa dell’appassionato ascoltatore di southern rock e delta blues, che va piuttosto alla ricerca di Band come questa che hanno le credenziali per saper ripercorrere con sicurezza le polverose strade, già battute dai Grandi Maestri, del Blues con la B maiuscola.


Discorso che si può riproporre in maniera quasi del tutto integrale dopo l’ascolto di “Live in Lafayette” (2013), registrato dal vivo all’Atmosphere di Lafayette. A credito di questo album c’è da evidenziare che si tratta di un live registrato assolutamente in presa diretta e senza il minimo ritocco, quello che si sente è quello che viene fuori dal cuore di questi cinque intrepidi bluesmen avvezzi al mestiere. Non menano affatto il can per l’aia, i Nostri, vanno sparati al dunque con pezzi come Big Mama’s Door (pezzo di apertura, bellissimo riff di Reed Turchi e stomp trascinante di Cameron Williams), Don’t Let The Devil Ride (mettiti in macchina e guida in una strada senza luci senza aver rigorosamente idea di dove tu stia andando), e Shake ‘Em On Down (qui sembra di essere sotto il palco dei North Mississippi Allstars a Bonnaroo 2004, quando registrarono un live dall’intensità simile, e forse sì anche superiore, quell’“Hill Country Revue” che rimarrà per sempre uno dei più grandi album live della storia del Southern Rock).

Ascolto infine l’EP “My Time Ain’t Now” (2013) dove i Nostri cercano di sperimentare qualcosa di leggermente diverso dal puro blues del delta. Colgo un maggior impegno lirico, mi piace fra gli altri la ballata Any Other Way. C’è oltre al blues una buona dose di folk, che riporta alcune atmosfere dell’EP quasi vicino a Bob Dylan e a The Band.

Nel complesso sono contento, ancora una volta, di aver comprato il Busca… che finchè c’è da scoprire nuove Bands dalla penna di chi ne sa, c’è da fidarsi. Una Band che non passa inosservata, e che vale la pena sedersi ad ascoltare se ti ci imbatti in un piccolo live club di periferia sperduto tra i sobborghi metropolitani di una qualche città del profondo Sud. O magari far partire l’album mp3 acquistato su Bandcamp, comodamente seduti sulla poltrona di casa, o infine avendo la fortuna di ritrovarseli in Italia, come hanno fatto nel 2013 nel corso del loro brevissimo tour in Europa (tra le altre date italiane, in locali come l’Unaetrentacinquecirca di Cantù, e l’Init di Roma, ottobre-novembre 2013).

Ride & Rock


D.M.


DISCOGRAFIA
Road ends in water (2012)
Live in Lafayette (2013)
My Time Ain't Now (2013)

sabato 23 novembre 2013

Oggi parliamo di... CROSS CANADIAN RAGWEED





Provo una certa emozione nel recensire questa Band, perché si tratta della bio che più volte nella mia vita ho provato a scrivere per poi successivamente averne perso ogni traccia di semilavorato, così da doverla ricominciare di nuovo, n (dove n in ambito non matematico sta per “non so quante”) volte. Rileggo fieramente il post sul mio blog quasi fosse il coronamento di un’impresa epica.

Detto ciò, parliamo di questi quattro ragazzi di Yukon che tra la seconda metà degli anni ’90 e tutto il primo decennio del 2000 si sono conquistati una discreta fetta di notorietà nel panorama country-rock americano, soprattutto all’interno dell’area Texas-Oklahoma, proponendosi fra i maggiori elementi di spicco di quello che fu definito il filone “Texas Dirt” del new country contemporaneo.

Identifichiamo subito il genere: Country-rock bello energico e orecchiabile, ben suonato ma oggettivamente senza particolari pretese, portato avanti seguendo quella che a mio avviso è una giusta linea-guida, non solo in ambito musicale, e  cioè “play simple”, “fai le cose semplici”. Potrei partire on the road e stare fuori un mese guidando giorno e notte riempiendomi la mia chiavetta mp3 solo con l’intera discografia dei Cross Canadian Ragweed. Pezzi da fischiettare e di cui ricordare i semplici riff chitarristici; chi ha ascoltato, o ascolta i Reckless Kelly piuttosto che Dierks Bentley o Stoney LaRue, sa sicuramente inquadrarli all’interno di questo cluster di Band.

Il nome Cross Canadian Ragweed è una rielaborazione di quelli dei tre membri fondatori della Band, Grady Cross (Guitars), il front-man nonché elemento di maggior spessore compositivo Cody Canada (Vocals, Guitars), e Randy Ragsdale (Drums). Nulla a che vedere, dunque, con l'acronimo dei leggendari Creedence Clearwater Revival, nemmeno da un punto di vista di affinità musicale (Cross più vicini al pop rock di quanto non lo fossero i Creedence, che per una larga parte della loro produzione discografica si sono tenuti sempre all’interno del genere country blues).

I Nostri si formano come detto a Yukon, Oklahoma, nel 1994, ma decidono ben presto di stabilire il loro headquarter nella città universitaria di Stillwater, da molti definita la “Austin del Nord” grazie al fermento artistico che si respira in città. Conquistano ben presto un massiccio seguito in ambiente studentesco e trovano ospitalità in numerose trasmissioni radio locali, grazie alle quali il loro primo album “Carney” (1998) arriva già supportato da un buon giudizio della critica e recepito da un folto seguito di appassionati pronti ad acquistarlo. Spiccano in questo album i pezzi Hey Hey, allegra cavalcata al galoppo in cui la fanno da padrone i bei fraseggi di chitarra tra Canada e Cross, Help Me (Get Over This Mountain) anch’essa orecchiabile e semplice, le due ballad strappalacrime Jenny e On You Own, e infine quello che a mio avviso è il pezzo più bello e architetturato dell’album, Proud Souls che parte con un’intro folk alla Bob Dylan e si distende in una ghost track di animo country alla Chris LeDoux.

Sulla scia del buon successo commerciale ottenuto con il primo album, esce l’anno successivo “Live And Loud @ The Wormy Dog Saloon” (1999). L’etichetta indipendente Underground Sound, da essi stessi gestita, produce anche il secondo album in studio “Highway 377” (2001). Album più rockeggiante del primo, è ben identificabile in pezzi più “nervosi” come Forty-Two Miles o Long Way Home, oltre a del materiale anche questa volta orecchiabile e “da radio airplay” come la title-track Highway 377 o Back Around.


Il terzo album in studio, l’omonimo “Cross Canadian Ragweed” (2002), dedicato a Mandy Ragsdale sorella del batterista Randy e morta in un incidente stradale, ottiene un successo su larga scala a livello nazionale. E’ un album decisamente bello e riuscito, probabilmente il migliore dei CCR se dovessi sbilanciarmi, vario dal punto di vista degli ingredienti utilizzati, ma forse nel complesso più “rock” degli altri. Basti ascoltare Don’t Need You che sembra quasi un pezzo dei Black Crowes… L’album contiene anche delle ballad assolutamente fantastiche come ad esempio Carry You Home, e richiami all’amato country rock che li ha resi popolari in tutto il Sud, come Walls Of Huntsville.

Successo commerciale che continua anche con l’album seguente “Soul Gravy” (2004), che proietta i quattro di Yukon al quarto posto della classifica Billboard. Tuttavia a parte il successo di vendite, a mio avviso, si tratta di un album che rispetto alle produzioni precedenti li vede un po’ più sottotono e con meno ispirazione; salverei solo due o tre pezzi, in particolare Hammer Down, Flowers (bellissima ballad) e Too Far Gone (una sorta di “Jam Session in studio”, ascoltare tutto fino anche alla ghost track!).

Nell'ottobre 2005 la Band pubblica l’album “Garage” che grazie al singolo "Fightin 'For" li fa volare nella top 40 delle classifiche nazionali, raggiungendo la posizione n.39 , così come "Dimebag", un omaggio a Darrell Abbott chitarrista fondatore dei Pantera. A mio avviso i pezzi più belli dell’album sono Blues For You e la riuscitissima cover di Bo Diddley Who Do You Love, in cui finalmente i Nostri sfoggiano a tutti gli appassionati di Southern come me, la capacità di saper avere a che fare con le slide e con il Blues del Delta.

I CCR navigano oramai a  gonfie vele, forti anche di un’attività di Touring instancabile che verrà immortalata dall’album doppio del 2006 “Back To Tulsa - Live And Loud @ Cain’s Ballroom”, registrato “in casa Oklahoma” il 31 ottobre 2006. La Band ha la possibilità di duettare, in questi anni di notevole successo commerciale, con star della musica country come Dierks Bentley e Stoney LaRue, piuttosto che Mickey & The Motorcars e Reckless Kelly.

Nel 2007 i CCR tornano in studio a San Diego, California, per registrare “Mission California”, la loro sesta produzione di inediti. Qui ci sono spunti interessantissimi che avvicinano i CCR ai Reckless Kelly piuttosto che a Dierks Bentley, siamo in ambito country rock in cui i ballerini di line-dance possono sfoggiare i loro passi a suon di piroette e batter di stivali al suolo: ascoltare Record Exec, e I Believe In You (il testo recita “I believe in kharma, I believe in soul, I believe in heaven, I believe in rock ‘n’ roll… I believe in wrestling, I believe in sleep, I know I ought to quit now, but I believe I’m in too deep!!!”).

Il 2009, quindicesimo anno di attività della Band, vede infine l’uscita del settimo e ultimo album in studio, “Happiness And All The Other Things”. Bellissimo il pezzo Blue Bonnets, ballad che Cody Canada dedica al suo figlio maggiore Dierks.

Nel maggio 2010, infatti, i CCR annunceranno una pausa dalla loro attività di touring nonché di produzione discografica. In un comunicato stampa, il batterista Randy Ragsdale spiegherà la motivazione “ufficiale” per cui la Band prenderà tempo dai palcoscenici e dagli studi: "In questo momento abbiamo bisogno, io in particolare più degli altri, di stare a casa con le nostre famiglie, per quanto mi riguarda soprattutto a causa del fatto che mio figlio JC sta soffrendo di problemi di autismo”. Ragsdale dichiarerà anche di aver spronato gli altri a continuare senza di lui, ma Cody Canada, il leader della band, ha controbattuto: “Abbiamo sempre detto fin dall'inizio, siamo CCR se uniti in 4, o non lo siamo affatto”. La realtà che affiorerà in seguito, tuttavia, sembrerà essere un'altra… il gruppo si è sciolto soprattutto a causa di divergenze artistiche non meglio specificate e di contrasti sulla gestione “di business”, delle finanze della Band, che ha messo in particolare Ragsdale in opposizione agli altri. Lo dichiarerà Cody Canada in un’intervista del 2010: “Volevamo tutelare il nome della Band, ma c'era una persona che non era felice da un punto di vista artistico e di business, riguardo come stavano andando le cose”.


Nel settembre 2010, i CCR organizzano il loro ufficiale “Last Call Show” al Joe’s Bar di Chicago, IL, tutto esaurito, dichiarando che “per quanto ci riguarda, questo sarà il nostro ultimo concerto”.

Dopo lo scioglimento dei Cross Canadian Ragweed , Cody Canada e Jeremy Plato (bassista dei CCR) continuano tuttavia a collaborare instradando un progetto molto simile a quello dei CCR, The Departed, avvalendosi del batterista Dave Bowen, del chitarrista Seth James e del tastierista Steve Littleton; i cinque pubblicheranno subito il loro album di debutto nel giugno 2011. Sempre nel 2011, il batterista Randy Ragsdale torna a Yukon e si mette a suonare con Stoney LaRue. Gary Cross, infine, si mette a gestire un locale live a Yukon.

Ride & Rock

D.M.

Discografia

Carney (1998)

Live @ The Wormy Dog Saloon (1999)

Highway 377 (2001)

Cross Canadian Ragweed (2002)

Live And Loud @ Billy bob’s Texas (2002)

Soul Gravy (2004)

Garage (2005)

Back To Tulsa: Live And Loud @ Cain’s Ballroom (2006)

Mission California (2007)

Happiness And All The Other Things (2009)

mercoledì 6 novembre 2013

Oggi parliamo di... THE BLACK CREEK BAND




Si potrebbe imbastire un più esauriente discorso per una Band come i Black Creek - un solo album ma di sostanza - che non per altre dalle produzioni discografiche incentrate sulla quantità - ma mediocri - a cavallo tra vari decenni... I Black Creek, vale a dire: il volo di una farfalla che muore accecata dalla luce.

Un solo album, "Live From Gainesville" registrato dal vivo il 25 Aprile del 1995 all’Acrosstown Repertoire di Gainesville, nella loro nativa Florida. 9 pezzi al confine tra Allman Brothers Band e Sea Level, una lezione di come si suona in Jam, architetture melodiche perfette e totale spazio all’improvvisazione che ha deliziato gli appassionati di Southern Rock (come me) imbattutisi - quasi per caso - nell’incontro con questa formazione.

Lato mio, conobbi i Black Creek alla fiera del disco usato e da collezione di Bologna del 2010. Quella mattina ero a caccia di rarità Southern già da una manciata di ore, in giro al setaccio tra i banchetti più “di nicchia” della fiera… I banconisti che hanno roba buona, e che possono interessarti, li riconosci al volo da quell’espressione navigata e sorniona sotto la fronte stempiata, barba incolta, di qualche nerd-musicale di mezza età. Incoraggiante percepire un interlocutore dalla calata veneta o toscana, ma soprattutto emiliana; i migliori intenditori si trovano da quelle parti, rigorosamente provenienti dalla provincia. Poi, una volta ingaggiato il discorso e la ricerca del consiglio, devi andare un po’ sulla fiducia, e constatare a casa se il tuo sesto senso ti ha aiutato ancora una volta oppure no.

I nomi della line-up che leggo sulla cover del cd, comunque, non mi sono nuovi e mi incoraggiano ad avere delle ottime aspettative. Leggo della presenza di Cameron Williams (Guitars/Vocals) e di Richard Proctor (Drums), successivamente in forza agli ottimi Tishamingo, Band che coniuga una vena blues alla Derek Trucks con testi alla Ronnie Van Zant, e che mi viene spontaneo accostare agli Steepwater piuttosto che ai North Mississippi Allstars. Poi leggo con sorpresa che il chitarrista solista è uno dei miei preferiti Sliders del Sud, Ryan Newell attualmente in forza ai Sister Hazel, sicuramente più commerciali ma non meno musicalmente dotati delle Bands appena citate. Non conosco invece Randy Goodgame (Piano/Hammond), successivamente avventuratosi in una carriera solista nell’ambito del Christian Rock, e Jason McDaniel (Bass), oggi proprietario di uno studio di registrazione a Boulder, CO, The Coupe Studios. Leggo che prima di questo live, i Black Creek avevano inciso un solo demo tape, un “Self titled” di 4 pezzi del 1993 (disponibile solo su musicassetta!), oggi letteralmente introvabile.

L’ascolto del cd è una bomba: 55 minuti di Jam session senza la minima falla, sembra di riascoltare una declinazione ben riuscita di “Live at Fillmore East” degli ABB… “Confused blues” dà subito spazio alla grande tecnica chitarristica di Ryan Newell, alla vena improvvisativa di Randy Goodgame al piano ed alla potente voce “alla Jimmy Hall” di Cameron Williams… “Movin’ on” è più orecchiabile e distesa, ricorda le sonorità di “Jessica” degli Allman, tanto per citarli per la cinquecentesima volta. “Shakerag hollow” sembra a tratti quasi un pezzo di Pat Metheny, lascia spazio alla forte vena jazzistica del quintetto. Ma il cuore dell’album sono a mio avviso i due pezzi centrali, da cinque stelle: la lunghissima cavalcata “Black Creek Jam”, 10 minuti e mezzo letteralmente perfetti e senza sbavature, e “Peachy clean”, ovvero l’animo country alla Marshall Tucker dei Nostri. Non può mancare una ballad strappalacrime come “Southern spirits” e un’altra epica Samarcanda improvvisativa come “Done enough”. Ryan Newell scatena di nuovo la sua slide in “Old man”, ed infine i Nostri chiudono con distensione in un’ultima “nostalgica” jam di 7 minuti e mezzo in “Tennessee mountain angel”.

Il live è dall’esecuzione semplicemente perfetta. Peccato i Black Creek non abbiano registrato nulla in studio e non abbiano continuato sulla falsariga di questo progetto, magari impostandolo anche solo come “Band da vacanza” a margine dei più riusciti progetti Tishamingo/Sister Hazel etc…

Se piace il disco (non chiedetemi come trovarlo, io ci sono riuscito quasi per caso, magari su amazon si trova qualcosina fate un po’ voi…) consiglio l’ascolto di una Band simile chiamata The Grapes, in particolare nell’album “Private stock”, sempre del 1995, sempre un southern rock in odor di Allman Brothers. Il vantaggio di questa Band è che almeno potrete trovare una produzione discografica un po’ più consistente rispetto a quella dei Black Creek, 4 album tra il 1991 ed il 1997. Lo svantaggio è che anche il materiale dei Grapes, come quello dei Black Creek, è pressoché introvabile.


Southern Rock rules
D.M.






DISCOGRAFIA

1993 Black Creek Band (solo su musicassetta)

1995 Live from Gainesville